La Tomba Brion di Carlo Scarpa: “invito al viaggio”
Ieri sera ho letto con grande interesse l’articolo “L’invitation au voyage” pubblicato da Guido Pietropoli sulla rivista Spazio e Società nel 1990. E’ sicuramente uno dei saggi più stimolanti che mi sia capitato di leggere sulla Tomba Brion e questa mattina mi sono svegliata pensando ad un aspetto specifico di questo straordinario complesso architettonico: le sue porte.
L’architetto Pietropoli è stato assistente di Carlo Scarpa allo IUAV di Venezia e poi suo collaboratore negli anni di costruzione dell’area monumentale di San Vito di Altivole, di cui ora sta curando il restauro. Una voce assolutamente autorevole, dunque, che è sempre un gran piacere ascoltare e da cui ho molto da imparare. Dell’articolo mi hanno colpito vari punti, a cominciare da quello in cui ammette che per anni ha faticato a comprendere la Tomba Brion, forse perchè troppo giovane e quindi lontano da pensieri relativi alla morte.
Ogni opera d’arte si presta a una miriade di interpretazioni diverse. Ci sono sempre l’intenzione e il sentire – più o meno dichiarati – dell’autore, le varie letture della critica e infine le interpretazioni che ognuno di noi può darne. Pur con una formazione da storica dell’arte, quindi attenta al contesto originario in cui l’opera è stata creata, trovo queste ultime particolarmente interessanti perchè testimoniano la capacità di un capolavoro di travalicare i confini del proprio tempo per parlare al nostro Io più profondo, che vi leggerà ciò che è pronto a cogliervi. E non parlo tanto di una preparazione culturale, ma di una preparazione personale maturata nel corso della vita attraverso le esperienze che questa ci ha permesso di fare. Se questo è valido per tutte le opere d’arte, lo è ancora di più davanti a quelle che in qualche modo alludono alla morte. E la Tomba Brion di Carlo Scarpa non vi allude solo, ma la canta con grande liricità.
In questi anni ho accompagnato molte persone a visitare il luogo dove riposa Giuseppe Brion, fondatore di BrionVega, e devo dire che ogni volta ne esco arricchita. Le mie visite sono per lo più private, o comunque riservate a poche persone (cliccando qui puoi vedere se ce n’è una in programma nelle prossime settimane), e questo mi permette di evitare il classico “monologo da guida” e trasformare il tempo a disposizione in un dialogo. Un dialogo che è sempre ricco di spunti di riflessione, sia quando sono in compagnia di architetti dall’occhio particolarmente allenato, che quando accompagno persone che fino a quel momento non hanno mai sentito nominare Carlo Scarpa.
Prima di iniziare il viaggio all’interno del complesso sottolineo sempre che quella che sto per proporre è una lettura che combina studi su fonti autorevoli con considerazioni assolutamente personali. Ricordo ai miei ospiti che davanti ad una tomba che è a tutti gli effetti un’opera d’arte ognuno può cogliere messaggi diversi e li invito quindi a condividere con me i pensieri e le sensazioni che proveranno strada facendo. Quanto sto per scrivere nasce da questa capacità d’ascolto e dall’aver osservato con attenzione come le persone si muovono all’interno del complesso quando sono libere di farlo senza dover seguire istruzioni particolari.
La cosa più frequente che mi è capitata di osservare è che la maggior parte delle persone accede alla Tomba Brion dalla porta sbagliata, cioè dal cancello limitrofo alla Cappella. Ammetto di averlo fatto anch’io la prima volta che l’ho visitata, completamente a digiuno di qualunque lettura sull’argomento. E quindi so bene che tale errore nasce per il fatto che, arrivando in auto, la strada termina proprio dinnanzi a quel cancello.
All’epoca della progettazione la carrozzabile non esisteva e si accedeva al camposanto dalla vecchia stradina sterrata, fiancheggiata da cipressi, che si trova di fronte al cancello cimiteriale. Da qui si vedono sullo sfondo i Propilei, con i due famosi cerchi, e viene naturale imboccare l’ingresso pensato da Scarpa. Che sia proprio questo lo testimoniò Pietropoli tempo fa, ricordando la lavata di capo ricevuta dal Professore quando, preparando le diapositive per una conferenza, scelse come prima immagine il cancello vicino alla Cappella. Cancello che in realtà non è neppure l’uscita visto che Scarpa prevedeva di aprirlo solo in occasione di un officium defuncti. Se leggi l’articolo che ha ispirato queste mie riflessioni, fugherai ogni dubbio. Il viaggio di cui parla Guido non può che iniziare dai Propilei…
Arrivati al loro cospetto ci attende però una sorpresa. O meglio, due.
La prima è data dai gradini slittati a sinistra che interrompono l’assialità del vano e del percorso fatto per raggiungerlo. Purtroppo oggi l’assialità del vialetto interno al cimitero è perduta a causa del successivo ampliamento del camposanto verso sud. Questa “scala spostata dalla parte del cuore suggerisce di iniziare la dolorosa salita/discesa nella città dei morti girando a sinistra, per incontrare per primi gli affetti più cari: il padre e la madre”, scrive Pietropoli. Parole che gli avevo già sentito pronunciare in loco con un brivido lungo la schiena.
L’esperienza con i miei compagni di viaggio mi dice però che questo suggerimento architettonico viene spesso ignorato. Arrivati al cospetto dei due anelli chiedo sempre – provocatoriamente – “ora da che parte preferite andare?” e la risposta non è mai univoca. Ammetto di non aver fatto caso se la scelta di andare a destra viene presa più frequentemente quando la porta in cristallo è aperta, cioè quando il corridoio sembra semplicemente restringersi senza alcun ostacolo ad impedire il cammino. Posso però dire che molte volte la richiesta mi è stata fatta anche a porta chiusa, forse pensando che si potesse aprire in qualche modo – cosa che invece non è possibile fare perchè viene bloccata dal custode.
Mi chiedo spesso cosa porti alcuni visitatori a scegliere di andare a destra piuttosto che a sinistra e tra le varie ipotesi quella che mi convince di più è la curiosità. Curiosità di scoprire dove conduce il pavimento del corridoio una volta inondato di luce, quando svolta ad angolo retto verso il Padiglioncino della Meditazione che dagli anelli non si vede ancora. Oppure la curiosità che spinge alcuni ad affacciarsi ai due anelli per poi esclamare inevitabilmente: “uhhh, guarda che bello lo stagno con le ninfee! Possiamo iniziare da lì?”.
Sicuramente la curiosità di girare a sinistra non è altrettanto impellente nel visitatore comune, non coinvolto nel lutto, perchè l’Arcosolio con le tombe dei due coniugi si intravede già dal cimitero comunale, poco prima di entrare nei Propilei.
Qualunque sia la ragione della scelta, le scale traslate dalla parte del cuore sono quindi un ottimo suggerimento, ma non depauperano la potenza emotiva del classico dilemma che si prova di fronte ad un bivio. E la vita è fatta di bivii, si sa. Bivii che la filosofia orientale ci invita ad affrontare senza timore, nella consapevolezza che non c’è una strada giusta e una sbagliata.
Di bivii, di momenti di scelta, nella Tomba Brion ce ne sono più d’uno. Penso ad esempio a quando, dopo aver percorso il corridoio che dall’Arcosolio conduce verso la Cappella, ci si trova dinnanzi alla piccola porta in legno mentre sulla sinistra si apre uno spazio aperto che ancora una volta conduce verso l’ignoto. E poi penso al piccolo capolavoro dei gradini musicali, dove il bivio si trasforma in quadrivio…
In questo punto, oltre al tema della scelta, si ripropone un concetto a cui alludono più parti – o dovrei dire porte? – del complesso. E’ la seconda “sorpresa” a cui mi riferivo prima, parlando degli anelli dei Propilei. Molte tra le persone che arrivano a San Vito di Altivole ignare di qualsivoglia informazione sulla Tomba Brion si stupiscono nello scoprire che i due cerchi non sono la porta d’accesso al complesso come avevano pensato avvicinandosi, ma piuttosto uno sbarramento al percorso immaginato. Questa verità la si comprende solo una volta saliti i gradini, quando finalmente è possibile vedere l’acqua che ostacola il passaggio.
Un modo delicato e acutissimo per ricordare la necessità di mettersi nella giusta prospettiva per comprendere il senso profondo delle cose e di quanto ci accade. Spesso quello che immaginiamo da lontano assume altre valenze quando ci ritroviamo al suo cospetto e ti ricordo che qui siamo al cospetto della morte. Anche quanto ci sfugge mentre accade in realtà ha solo bisogno della giusta distanza, ovvero di tempo. Del tempo necessario a proseguire il cammino che ci condurrà al punto in cui potremo comprendere che quell’evento, anche se doloroso, ha una precisa funzione nel disegno complessivo della Vita.
Questo invito a cercare la giusta prospettiva ci viene rivolto da Scarpa – magari involontariamente – più volte nel corso del viaggio all’interno della Tomba Brion e sempre utilizzando delle porte, dei passaggi.
Penso alla porta di cristallo che sprofonda inspiegabilmente nel vuoto per riemergere bagnata non appena la si supera. Il meccanismo che la aziona non si riesce ad intravedere minimamente dal punto in cui la si apre, ma basta girare l’angolo per ammirarlo in tutta la sua bellezza.
Penso anche al passaggio sull’acqua che si scorge risalendo gli scalini oltre le Tombe dei Familiari. Sembra condurre all’ingresso della Cappella, ma da quel punto è impossibile capire come raggiungerlo. Solo proseguendo il nostro viaggio scopriremo che l’ingresso in realtà è un altro e che le pietre a filo d’acqua conducono invece al piccolo giardino dei cipressi.
Il vero ingresso alla Cappella si scorge scendendo i gradini musicali di cui parlavo poco fa. E da lì, da quel punto così lontano, la piccola porta in legno sembra completamente fuori asse – questa volta verso destra – rispetto alla grande “parete bianca” scandita da linee ortogonali che ricordano Mondrian e le porte giapponesi. In realtà, avvicinandoci e mettendoci ancora una volta nella giusta prospettiva, scopriremo che anche la parete bianca è una porta e che una volta varcato l’ingresso ci aspetta un altro passaggio a forma di omega.
Prima di terminare vorrei sottolineare il legame esistente tra il concetto di bivio e quello di giusta prospettiva.
Il bivio nel complesso Brion è un punto che rallenta il cammino, l’ostacolo che nella vita di tutti i giorni ci riempie di dubbi e domande. “Se scelgo questo rischio di… ma se scelgo quest’altro potrei non…”. Quante volte una scelta difficile ha bloccato per giorni, a volte per mesi, il corso della nostra vita? Quante volte restiamo fermi al bivio, ignari che solo proseguendo il viaggio prima o poi arriveremo a comprendere il senso della nostra vita dalla giusta prospettiva?
Il viaggio, dicevamo…
Un concetto così caro alla cultura orientale, sempre attenta a ricordarci quanto la cosa importante non sia la meta, ma il cammino che facciamo per raggiungerla. Da qualunque prospettiva la si guardi, quindi, la Tomba Brion è sicuramente un invitation au voyage.
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