Tre giorni insieme nel Veneto di Carlo Scarpa
E’ da molto che sognavo di organizzare questo Viaggio a Tema e devo dire che la sua riuscita è stata superiore ad ogni mia aspettativa. Impossibile dunque non tenerne traccia nel mio diario virtuale e condividere con voi le emozioni fortissime che ci hanno accompagnato in quest’ultimo, splendente, weekend di fine ottobre.
I vari siti in programma fanno parte dei miei tour abituali, ma mai finora mi era capitato di proporli tutti insieme. E per di più in ordine stratigrafico, ovvero cronologico, come ha giustamente notato lo spirito da archeologa della mia amica Adele. So che a prima vista può sembrare una banalità, ma credimi che non è così. Andare a Possagno per visitare la casa natale e la raccolta di gessi di Antonio Canova non è la stessa cosa che andarci come punto di partenza di un itinerario interamente dedicato a Carlo Scarpa, il mio architetto preferito nel panorama del Novecento italiano.
Certo, non siamo gli unici ad essere arrivati ai piedi del Monte Grappa attratti dall’ampliamento museografico realizzato nel 1957, ma penso che pochi lo visitino come abbiamo fatto noi. Prova ne sono i commenti a caldo di Nicoletta, Luigi e Gaia. I primi due avevano visitato la Gypsoteca insieme a me alcuni anni fa, mentre Gaia – architetto – c’era già venuta da sola proprio per Carlo Scarpa. Ebbene: con Luigi e Nicoletta – mia fedelissima! – all’epoca mi ero concentrata sull’eredità neoclassica custodita in questo luogo, mentre Gaia ci ha confessato di aver quasi trascurato la casa canoviana durante la sua prima visita. Ecco, questa volta invece partiamo proprio da Canova – dalla sua vita, il suo processo creativo, la sua arte in senso lato – per arrivare a Carlo Scarpa e al suo modo sapientissimo di mettere in scena per noi – e far dialogare tra loro – i modelli in gesso e terracotta. Strappando allo scoccar delle sei un bel “Avete battuto tutti i record!” alla guardiana della Gypsoteca.
Penso che nessuno di noi – io per prima – si sarebbe mai aspettato di rimanere tre ore e mezzo all’interno di un museo a cui la maggior parte dei visitatori dedica un’oretta, ma credimi che il tempo ci è letteralmente volato tra le dita. Nella presentazione del programma avevo scritto “sarà un viaggio dai ritmi lenti dove ci concederemo tutto il tempo necessario per cogliere e immortalare la poesia delle architetture scarpiane” e così è stato. Questo ritmo lento si traduce fin dalla prima visita nell’invito, rivolto ai miei ospiti, di appropriarsi degli spazi scarpiani individualmente. So che a nessuna guida verrebbe mai in mente di aprire la porta della Gypsoteca e dire: “Eccola qui! Prendetevi tutto il tempo che volete per visitarla da soli, seguendo il vostro istinto e la bellezza che vi è custodita”. Ma io ho un obiettivo ben preciso. Una volta introdotto lo scultore e a grandi linee anche l’architetto, voglio che il primo approccio con lo spazio costruito sia spontaneo, non mediato dalle mie parole e dalla mia passione. Voglio che le opere d’arte, sia quelle scultoree che quelle architettoniche, parlino liberamente ai miei accompagnatori, lasciandoli liberi di coglierne la poesia. Voglio che ognuno abbia il tempo per lasciarsi incantare da un dettaglio, soffermarsi su un raggio di luce, sfiorare con le dita una superficie, ascoltarne i suoni.
Purtroppo il giorno seguente non mi sarà possibile proporre questo “approccio libero” al Negozio Olivetti, dove il tempo concesso alle guide è sempre molto risicato. Fortuna vuole, però, che al termine del nostro turno fuori dal Negozio non ci siano visitatori in coda e così abbiamo comunque modo di goderci questo gioiellino d’architettura un po’ più a lungo del previsto e anche individualmente. Vedere i miei ospiti soffermarsi sui dettagli, indicarseli l’un l’altro e commentarli tra loro è una soddisfazione unica. La prova concreta che Scarpa li sta conquistando e che siamo entrati tutti in perfetta sintonia con il mio “andare lento”. Talmente in sintonia che di lì a poco dovrò faticare a riportarli sull’attenti per iniziare “ufficialmente” la spiegazione della Fondazione Querini Stampalia.
Alla fondazione ci arriviamo dalla Fondamenta del Remedio, dove il riverbero della luce sulle pareti delle case prospicenti il canale corona come per magia le riflessioni di Adele sui giochi di luce magistralmente orchestrati da Carlo Scarpa. Arrivare al Campo di Santa Maria Formosa da questo lato vuol dire vedere l’ingresso scarpiano – ora purtroppo in disuso – prima di quello progettato in tempi più recenti da Mario Botta ed oggi divenuto l’accesso principale. Vuol dire cioè entrare in media res nel progetto dell’architetto veneziano, ammirare il ponte in legno, l’elaboratissima porta d’acqua e l’iscrizione ispirata all’Alberti prima di intravedere il portego e, poco più in là, il celebre giardino.
Una volta dentro, dopo l’approccio libero divenuto oramai un rito del nostro peregrinare, inizio la spiegazione proprio da quello che per Scarpa doveva essere l’atrio del suo intervento sul palazzo cinquecentesco. Impossibile non notare il pavimento di questa stanza. E impossibile non notare lo sguardo di Emanuela – docente universitaria di matematica – concentrato ad individuare un possibile ordine nella disposizione delle tessere colorate. Il giorno successivo, dopo aver visto anche il mosaico sul muro perimetrale della Tomba Brion, ci confiderà di aver pensato che le composizioni musive ideate da Scarpa sembrano alludere ai numeri irrazionali, dove le sequenze di numeri dopo la virgola si susseguono con un’unica regola: mai ripetersi uguali a se stesse.
Ecco qui l’altro aspetto entusiasmante di questa esperienza: ognuno di noi è inevitabilmente attratto da qualcosa in particolare e lo condivide senza alcun imbarazzo con gli altri. E’ una condivisione sana di pensieri, riflessioni ed emozioni che a qualche giorno di distanza fa ancora sentire i suoi effetti benefici. Effetti legati anche alle risate a crepapelle che ci faremo di lì a poco in giro per Venezia, in treno e la sera a cena.
Concludiamo il weekend con l’immancabile Tomba Brion, opera ultima del Professore, che ha scelto di essere sepolto proprio lì accanto, nel cimitero di San Vito di Altivole. E’ un luogo che incanta sempre. Incanta chi vi giunge appositamente da lontano, coronando il sogno di una vita, e chi mi segue sulla fiducia, arrivando qui senza aver mai sentito parlare di Carlo Scarpa – se mi segui sui social, sai che talvolta accade anche questo. Arrivarci però così, al termine di tre giorni interamente dedicati al Professore, è tutta un’altra storia. Lo colgo nello sguardo pieno di meraviglia dei miei compagni di viaggio. Lo percepisco dai punti in cui scelgono di chinarsi per scattare una fotografia, dai dettagli che si indicano l’un l’altro senza bisogno delle mie parole, dalle domande che restano sospese. Quasi che ognuno di noi abbia compreso che, in fondo, le risposte sono da cercare dentro. Dentro di noi. E’ una mattinata dal cielo terso, i colori brillano più che mai e ancora una volta questo luogo di infinita poesia è capace di sorprendermi.
Lo fa grazie alla cortesia di Sergio – il custode – che a gran sorpresa aziona l’acqua della canaletta quando ci avviciniamo ai due anelli posizionati in prossimità dell’arcosolio. Al nostro arrivo li avevamo trovati insolitamente vuoti, come pure la canaletta da essi alimentata. E’ la prima volta che li vedo riempirsi e purtroppo non faccio in tempo ad attivare la telecamera del telefono che le due piccole vasche sono già piene. Ed è a quel punto che qualcuno esclama: “Senti, c’è anche una cascata…”.
Come una cascata??? Allibita alzo lo sguardo dallo schermo e in quel momento la sento. Sento l’acqua precipitare da un piccolo salto di livello posizionato nella parte più stretta della canaletta, a circa un metro da noi. E’ un suono destinato a durare solo pochi attimi, per poi svanire definitivamente non appena l’acqua avrà riempito la canaletta. E’ questo che mi fa impazzire di questo luogo: puoi venirci migliaia di volte ed ogni volta scopri qualcosa di nuovo.
Nuova è anche la passeggiata che propongo ai miei ospiti nel borgo medievale di Asolo, dove Scarpa visse e operò nel corso degli anni Sessanta. E’ nuova perchè oltre ad alcune testimonianze collezionate nel corso degli anni, questa volta ci accompagnano anche le parole di Guido Pietropoli, che ha da poco pubblicato la sua esperienza A fianco di Carlo Scarpa. Ne leggo alcuni brani, rivolgendo spesso uno sguardo complice ai miei ascoltatori. Non c’è bisogno di commentare nulla, ogni tassello a questo punto ha già trovato il suo posto e a noi non resta che goderci le ultime ore di simpatica e preziosa compagnia. Non prima però di aver assecondato l’entusiasmo di Francesca – direttrice editoriale di Casa Facile – nello scoprire, incastonata tra i portici asolani, una deliziosa boutique di kilim e oggetti di arredamento provenienti da ogni angolo del pianeta.
Un grazie di cuore ai protagonisti di questa avventura, in particolare a Luigi per la simpatia con cui si è inserito in questo gruppo di pazze donne. Potervi finalmente conoscere o riabbracciare è stato uno dei regali più belli di questo bizzarro 2021.
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