Ulay, chi era costui…
Qualche giorno fa ci ha lasciato Ulay e tutte la stampa italiana ne ha dato notizia con titoli altisonanti in cui compariva sempre anche il nome di Marina Abramovic. Sinceramente questa scelta giornalistica mi ha molto infastidita perchè riduce i 50 anni di ricerche artistiche dell’artista tedesco ai 12 di sodalizio con la performer serba. Così in questi giorni ho cercato sul web articoli e video che parlino soprattutto di lui, pubblicati prima di questo triste evento, e li voglio condividere con voi. Sento di doverlo a Ulay, che con il suo sguardo ipnotico mi scioglie ogni volta che compare in un video.
Inizio con la domanda che Alessandra Mammì pose ai suoi lettori in un articolo del 2016: “Lecita sorge la domanda: Marina sarebbe potuta esistere senza Ulay?”. Leggilo attentamente e capirai perchè subito dopo aggiunge: “E’ ormai chiaro che Ulay esisteva prima ed esiste dopo Marina“.
Le ricerche prima dell’incontro con Marina Abramovich
Il “prima” è fatto di indagini sull’identità e sul gender in cui l’artista si cimenta in opere dal titolo volutamente provocatorio come S’he, gioca sul “doppio” dando spazio alla sua parte femminile e se ne va in giro con il volto diviso in due, metà uomo e metà donna.
Fin da subito il mezzo prediletto dall’artista per dar vita al suo pensiero è il corpo, da lui stesso definito “l’unico oggetto d’arte che parla, respira, sente e pensa”. E che ben si presta ad un ampio spettro di ricerche in campo fotografico, soprattutto con l’uso della Polaroid che all’epoca era il più povero e democratico tra i mezzi di riproduzione del reale.
Ulay non si è mai definito “un fotografo” ed in effetti il suo è un operare sul piano concettuale, un utilizzare la fotografia per cercare e creare altro, un mettere in atto performance anche nel momento dello scatto e della stampa fotografica. Per comprendere meglio cosa intendo dire ti invito a dedicare qualche minuto alla visione di questo video che documenta la riproposta al pubblico, nel 2012, di una delle “performance fotografiche” note con il titolo di Fototot (1976). A me è piaciuto molto perchè fa capire davvero tanto di questo protagonista dell’arte contemporanea, non solo come artista, ma anche come uomo…
Il furto al Museo di Berlino
Sempre del 1976 è la performance There’s a Criminal Touch to Art, durante la quale Ulay rubò un quadro dalla Neue Nationalgalerie di Berlino per appenderlo nella casa di una povera famiglia turca del quartiere di Kreuzberg, all’epoca vero e proprio ghetto di immigrati. La scelta del quadro non è casuale: è il preferito di Hitler, una vera icona dell’identità tedesca. E Ulay è il nome d’arte di Frank Uwe Laysiepen, l’uomo che rinnegò il suo paese schiacciato dai sensi di colpa per essere figlio di un gerarca nazista.
Ho trovato questa bella video-intervista rilasciata al Louisiana Museum in cui l’artista stesso racconta, con filmati e foto d’epoca, il modo in cui è riuscito a rubare il quadro e le finalità ultime, tutte di forte impatto sociale, di tale azione. Le foto della performance sono state scattate da Marina Abramovic, segno che la stagione dei Relation Works (1976-1988) – questo il nome dato alle performance di coppia, e del loro girovagare per l’Europa a bordo di un furgoncino Citroen è già alle porte. Salto a piè pari questa fase, penso nota ai più, per raccontarti invece cosa ha impegnato l’artista negli ultimi anni.
L’immensa bellezza dell’acqua
Earth Water Catalogue è un progetto di arte condivisa che ha impegnato Ulay all’inizio del nuovo millennio. L’idea è nata nel 2004 da un dialogo poetico tra l’artista e l’acqua e, grazie al sostegno dei suoi allievi dell’Università di Karlsruhe, si è trasformato in un lavoro collettivo dove artisti di diversa provenienza geografica si cimentano con medium differenti a testimoniare la bellezza di questo elemento naturale. Il progetto e la sua evoluzione è descritto molto bene da Alessandro Cassin in un articolo su L’Espresso, che puoi leggere per approfondire l’argomento.
Project Cancer, il “progetto più importante”
Termino infine con la sua ultima opera, quella che lui stesso definì il progetto più importante della sua vita e che non a caso battezzò Project Cancer. Ti suggerisco di guardare il trailer del film diretto da Damjan Kozole per farti un’idea completa del suo lavoro. Le riprese iniziano nel novembre 2011 e trasformano in un “viaggio degli addii” quello che, prima che gli venisse diagnosticato il cancro, doveva essere un semplice docu-film sulla sua arte. Per un anno la macchina da presa lo segue da Lubiana, dove è ricoverato nel reparto oncologico, a Berlino, New York e poi alla “sua” Amsterdam. Nei luoghi che lo hanno ispirato e negli ultimi abbracci con le persone che lo hanno amato e ne hanno compreso la grandezza di uomo e di artista. Con o senza Marina…
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Photos credit: Ulay, Marina Abramovich, Primoz Korosec
La tua descrizione di Ulay è semplicemente meravigliosa… lui che esisteva già prima di Marina, ma che purtroppo è ricordato soprattutto per le performance con l’artista in presenza… grazie Monica
Se ci pensi, cara Simona, anche Marina è conosciuta ai più solo per l’incontro con Ulay al MOMA, eppure ne ha fatte di cose… Che strani i meccanismi che rendono famosa un’opera/artista: io ci penso spesso e non trovo risposte!
Cara Monica grazie per questi “post-it”, scusa se uso questa parola riduttiva, che aprono una doverosa finestra sulla vita artistica di un protagonista del contemporaneo.
Grazie a te, cara Paola, per essere passata a trovarmi