“Io, Leonardo”
Difficile immaginare che taglio dare ad un film su Leonardo Da Vinci nell’anno in cui ricorrono le celebrazioni per i 500 anni della sua dipartita. Il rischio di cadere nel banale, in quel Leonardo anziano con lunghi capelli bianchi perso tra mille carte e disegni indecifrabili, è davvero grande. Rischio che il regista Jesus Carces Lambert supera brillantemente già a partire dal titolo. Con quel IO iniziale che chiarisce fin da subito l’oggetto delle sue esplorazioni con la macchina da presa.
Il genio del Rinascimento al cinema
Il film su Leonardo ci regala 90 minuti di intensa liricità supportata da un’attenta ricerca storica e uno sguardo insolito sulla vita e le opere del grande artista rinascimentale. Nel corso della narrazione il talento artistico e le indagini scientifiche di Leonardo cedono spesso la scena all’instancabile lavorio di una mente mai sazia e a vicende private alquanto travagliate.
Ne esce così il ritratto di un uomo perennemente in bilico tra intuizioni geniali e richieste di una committenza assai esigente. Tra pietre miliari nell’evoluzione del sapere umano – come la Gioconda e l’Uomo Vitruviano – e fallimenti leggendari che ci hanno privato di capolavori inimmaginabili, come il Monumento Equestre per Ludovico il Moro e l’incompiuta Battaglia di Anghiari.
Ottima la scelta di far indossare a Luca Argentero i panni di un uomo “senza età” che viaggia in luoghi senza spazio e senza tempo. Luoghi che ciò non di meno ripercorrono con fedeltà le tappe più significative della biografia leonardesca: dalla campagna toscana a Firenze, dalla Milano degli Sforza alla Francia di Francesco I.
Non è il Leonardo calvo e con la lunga barba bianca a cui siamo abituati, ma un uomo nel fiore degli anni con lunghi capelli castani a cui si rivolge sovente una calda voce fuori campo. E’ quella di Francesco Pannofino che, insieme a suggestive animazioni digitali, riesce a condurci dentro alla mente di Leonardo.
Le scene più belle
Due scene mi hanno colpito particolarmente per la loro liricità.
Nella prima Leonardo, tormentato da un’idea che sta prendendo vita dentro di sé, intuisce le regole della “divina proporzione” che regola il mondo. Quella sezione aurea che troviamo nei tempi greci, nel moto delle onde, nella spirale di una conchiglia e che piano piano lo porta ad immaginare e poi a codificare il celebre Uomo Vitruviano. Il tutto mentre la telecamera inquadra alternativamente l’inquietudine del suo volto e un grande cerchio che ruota, nella penombra, verticalmente su sé stesso. All’interno c’è un uomo. Un uomo che si muove con l’eleganza e la spregiudicatezza di un equilibrista alla ricerca di quella posa a gambe e braccia divaricate che tutti conosciamo.
La seconda è quella dedicata al momento creativo che precede la realizzazione dell’Ultima Cena. Dopo aver spiegato a Ludovico il Moro che l’opera procede nella sua mente nonostante l’apparente stasi creativa, vediamo Leonardo immaginare e comporre la scena. Lo fa dialogando con i dodici personaggi riunitisi intorno al tavolo e assegnando a ciascuno di loro la posa e l’espressione che meglio riescono ad esprimere lo stupore degli apostoli alla notizia dell’imminente tradimento di Giuda.
Due scene che, per quanto mi riguarda, valgono l’intero film…
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